Noi, invece, che abbiamo per patria il mondo,
come i pesci il mare
Dante Alighieri

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AGENDA SCOLASTICA
Centro Filippo Buonarroti
Agenda scolastica 2014-2015 a disposizione dei tesserati

1914-2014 PERCHE' TUONARONO "I CANNONI D'AGOSTO"

Quest’anno il Centro Filippo Buonarroti compie vent’anni: abbiamo infatti iniziato la nostra attività organizzando alcune conferenze nelle scuole superiori milanesi nel corso dell’anno scolastico 1994-’95. Il “compleanno” andava ricordato con una Agenda 2014-2015 importante e non c’è dubbio alcuno che il centenario dello scoppio della Grande guerra rappresenti un argomento adeguato.

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1) Presentazione: alle origini della Grande guerra 

...

Come si può facilmente intuire la maggiore difficoltà che abbiamo incontrato è stata quella di dire cose interessanti e non banali su di un argomento sterminato e disponendo di uno spazio evidentemente limitato come quello di questa Agenda. Christopher Clark, autore di uno dei libri recenti di cui si è più discusso sulla stampa italiana e internazionale (“I sonnambuli” Ed. Laterza), nell’Introduzione al libro ricorda che uno studio del 1991 calcolava l’esistenza di oltre 25.000 libri dedicati all’argomento (tra cui uno dei più famosi è certamente quello di Barbara Tuchman “I cannoni d’agosto”, Ed. Bompiani da cui abbiamo ripreso il titolo dell’Agenda). C’è poi chi sostiene che saremmo in realtà ormai vicini allo straordinario numero di 100.000 libri apparsi nel mondo sulla Grande guerra!

Di fronte a questo mare sterminato di libri, per non parlare dei materiali e degli articoli che hanno inondato riviste e giornali anche solo in occasione di questo centenario, riteniamo comunque di poter proporre riflessioni meritevoli di attenzione e di approfondimento in quanto il nostro punto di vista è originale e consiste, come ben sanno coloro che ci conoscono, nell’analizzare le vicende che hanno portato alla Grande guerra sulla base della chiave di lettura proposta dalla scuola marxista.

Naturalmente, come è nostra abitudine, non ci limiteremo a proporre i testi della scuola marxista: anzi la maggior parte dei materiali proposti sono ripresi da alcuni dei testi più interessanti apparsi sull’argomento ad opera di storici di diverso orientamento.

I libri degli storici sulla Grande guerra hanno attraversato diverse fasi: come ha scritto Sergio Romano (Corriere della sera 11/5/2014):

“…Per molti anni, dopo la fine della Grande guerra, il tema centrale dell’immensa letteratura storica apparsa sul conflitto fu quello delle responsabilità. In una prima fase quasi tutti gli storici furono patriottici e giustificarono il proprio Paese, cercando altrove il capro espiatorio…

In una seconda fase gli storici divennero revisionisti e non esitarono a sottolineare le responsabilità del proprio Paese…

Più recentemente la tesi prevalente mi è parsa essere quella di un diffuso sonno della ragione che, come nei Sonnambuli di Christopher Clark, pubblicato recentemente da Laterza, avrebbe reso tutti i Paesi corresponsabili di una “inutile strage”…”.

In questa terza fase di cui parla Sergio Romano, in cui le analisi sulla guerra si fanno più sofisticate, possiamo collocare anche autori secondo i quali la guerra non solo non era inevitabile ma era addirittura “improbabile” (come Holger Afflerbach), oppure autori che sostengono la tesi secondo cui la guerra fu dovuta ad errori (famoso il libro di Niall Ferguson “La verità taciuta”, Ed. Corbaccio 2006, che si conclude con questa frase “Fu il più grande errore della storia moderna”).

Quanto a Christopher Clark, citato da Sergio Romano, la sua tesi di fondo è la seguente: “…i protagonisti del 1914 erano dei sonnambuli, apparentemente vigili ma non in grado di vedere, tormentati dagli incubi ma ciechi di fronte alla realtà dell’orrore che stavano per portare nel mondo.”.

Si tratta di letture che sembrano riecheggiare in vario modo la tesi del ministro degli Esteri britannico Lloyd George, che nelle sue memorie ha lasciato scritto una frase rimasta famosa: “Le nazioni sono scivolate  oltre l’orlo del cratere bollente della guerra”. Da sottolineare il verbo scivolare che vorrebbe dare l’idea di una guerra scoppiata senza che nessuno la volesse davvero: tesi che a distanza di un secolo troviamo espressa dall’ex direttore di Le Monde, Jean Marie Colombani, che sul Corriere della sera di martedì 31 dicembre 2013 ha scritto: “Dalla profusione di opere dedicate alla celebrazione del centenario della Grande guerra emerge un punto comune: nessuno aveva veramente voluto la guerra.” !

Da marxisti, potremmo avanzare a questo punto una banale osservazione: viviamo in un mondo nel quale, secondo i massimi storici della borghesia, potrebbe scoppiare una guerra mondiale per errore o addirittura senza che nessuno lo voglia…(A parte il fatto che ciò significherebbe la fine di qualunque approccio scientifico alla Storia, i cui sviluppi diventerebbero assolutamente casuali ed imprevedibili).

Un’altra tesi interessante è quella sostenuta da Margaret MacMillan (“1914. Come la luce si spense sul mondo di ieri”. Ed. Rizzoli): la responsabilità sarebbe di un piccolo gruppo di potenti individui che ritennero essere la guerra la soluzione migliore ai problemi dell’epoca. Gianni Toniolo (Il Sole 24 Ore, 9 marzo 2014) inquadra questa tesi nel dibattito che impazza, a livello internazionale, sul parallelismo tra il 1914 ed il 2014 (altro dibattito che porta acqua al mulino del marxismo, in quanto dimostra che l’imperialismo in quanto sviluppo ineguale e lotta ininterrotta per la spartizione dei mercati e delle sfere d’influenza non è sostanzialmente cambiato rispetto al 1914, se non nelle dimensioni quantitative…) :

 

“…La discussione sulle responsabilità e le cause della Grande guerra sta riprendendo vigore in tutta Europa, sospinta da un centenario nel quale molti vedono analogie con il clima del 1914: globalizzazione, ottimismo sostenuto dalla tecnologia, instabilità economica e fragilità degli equilibri geopolitici. Macmillan non discute in questo libro le “lezioni” di allora per l’oggi. Lo fa sui quotidiani insistendo soprattutto sulla necessità di forte leadership: la prima guerra mondiale avrebbe potuto essere evitata, dice, se fossero stati al comando nei propri paesi personalità dal carattere forte e risoluto come Bismarck e Churchill…”   

 

Quindi per evitare la Terza guerra mondiale, paventata dagli esperti sull’onda dell’emergere delle grandi potenze a dimensione continentale come la Cina o l’India e delle tensioni in Asia o in Medio Oriente, l’umanità dovrebbe preoccuparsi della qualità della leadership delle grandi potenze…

C’è poi un filone di storici che si rifà alla realpolitik, che considera cioè la politica estera degli Stati come il prodotto della valutazione delle forze e dei rapporti di forza nell’ambito della più efficace tutela dei loro interessi strategici: la guerra in questo caso appare come uno degli strumenti atti a tutelare gli interessi degli Stati, esattamente come la diplomazia. In questa visione rientra a pieno titolo la famosa definizione di Clausewitz secondo cui “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”!

La moderna realpolitik inquadra dunque le guerre, compresa la Grande guerra, come prodotto del modificarsi dei rapporti di forza nel sistema delle relazioni internazionali e quindi della lotta tra le potenze per la spartizione dei mercati e delle sfere d’influenza.

In questo filone troviamo studiosi come il già citato Sergio Romano che, insieme a Giorgio Galli,  ha partecipato all’incontro di lancio delle nostre iniziative sulla Grande guerra: l’ambasciatore Romano giusto dieci anni or sono in un articolo sul Corriere (12/5/2004) presentava in un’ottica “realista” le origini della Grande guerra:

“Novant’anni fa, dopo il colpo di pistola che uccise a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, un impero liberale (la Gran Bretagna), un impero autocratico (la Russia) e una repubblica democratica (la Francia) constatarono di avere interessi comuni e decisero di combattere insieme gli Imperi centrali…”

Dopo aver ricordato che le gravi tensioni che pure vi erano stato tra i tre Paesi dell’Intesa negli anni precedenti avevano portato sull’orlo di guerre tra Francia e Gran Bretagna (Fashoda) e tra Gran Bretagna e Russia (Afghanistan), Sergio Romano scrive:

“…Il rinsavimento ebbe luogo quando ciascuno dei tre Paesi giunse alla conclusione che la Germania era più pericolosa per il suo futuro, di quanto non fossero gli altri due…”.

    
Ma nel filone della realpolitik troviamo anche personaggi come Henry Kissinger, il quale nel suo libro “L’arte della diplomazia” (Ed. Sperling & Kupfer) individua nell’unificazione tedesca del 1871 l’evento che cambiò il quadro dei rapporti di potenza in Europa e rese inevitabile la Grande guerra, tesi che Engels aveva già espresso in un famoso scritto del  1886 che ricorderemo in seguito. Senza dimenticare storici dell’economia come Paul Kennedy che nel suo famoso “Ascesa e declino delle grandi potenze” (Ed. Garzanti) individua nello sviluppo ineguale (termine mutuato da Lenin…) tra le potenze un fattore decisivo nel modificare i rapporti di forza economici e quindi nel creare le condizioni per nuove e diverse spartizioni del mondo, che in ultima istanza, quando sono in gioco interessi strategici, rendono inevitabili le guerre.

Nel suo libro infatti Kennedy dopo aver proposto alcune tabelle che evidenziano la diversa dinamica del PIL, del PIL pro-capite e della popolazione, per i principali Paesi, scrive:

 

“…Infine, può essere utile ricordare che questi mutamenti a lungo termine negli equilibri produttivi sono importanti non tanto per se stessi, quanto per le loro implicazioni a livello di politica di potenza. Come Lenin stesso notava nel 1917-1918, erano gli ineguali livelli di crescita economica di alcuni paesi che portavano all’ascesa di determinate potenze e al declino di altre:

 

Cent’anni fa, in termini di forza capitalistica, la Germania era un paese povero ed insignificante in confronto alla potenza che la Gran Bretagna aveva all’epoca. E il Giappone era ugualmente insignificante in confronto alla Russia. E’ concepibile che tra dieci o vent’anni la forza relativa delle potenze imperialiste sarà rimasta immutata? Assolutamente inconcepibile.

 

E, a prescindere dalla particolare attenzione di Lenin sugli stati capitalisti-imperialisti, sembra valida per tutte le unità nazionali la regola che ineguali livelli di crescita economica portino, presto o tardi, a mutamenti negli equilibri politici e militari…”

 

Una chiave di lettura condivisa dallo storico Giorgio Rochat, autore di importanti opere sulla Grande guerra, che recentemente in una intervista sul Corriere (15/5/2014) ha affermato:

 

“…L’Europa dell’epoca era dominata dall’asse franco-britannico, appoggiato dalla Russia. La Germania era la potenza emergente che voleva sovvertire quell’equilibrio. La guerra nasce da un contrasto di potenza in cui tutti gli attori seguono una logica imperialista: non vedo francamente uno Stato più responsabile di altri. Direi che lo sono tutti in proporzione al loro peso sullo scacchiere internazionale…”.

 

Secondo la scuola marxista, e cercheremo di spiegarlo nelle diverse parti dell’Agenda, la Prima guerra mondiale imperialistica era il prodotto del ciclo lungo della prima mondializzazione e della trasformazione del capitalismo della libera concorrenza in imperialismo, sistema nel quale l’emergere di nuove potenze, Germania, Stati Uniti e Giappone, provocò la lotta all’ultimo sangue per modificare la vecchia spartizione del mondo che fino ad allora aveva avvantaggiato le vecchie potenze europee. L’efficacia della lettura marxista è del resto confermata dal successo della strategia leninista che portò all’Ottobre rosso e quindi all’Internazionale comunista…

Tornando alla guerra, essa fu dunque il prodotto delle scelte fatte dalle classi dominanti delle principali potenze imperialistiche e dai loro governi per modificare a proprio vantaggio la spartizione del mondo: e questo ci permette di attribuire in modo inequivocabile alla borghesia e all’aristocrazia la responsabilità di un massacro che non fu affatto una “inutile strage” (come venne definita da Papa Benedetto XV) perché cambiò in modo determinante i rapporti di forza tra le borghesie imperialistiche delle diverse potenze, con grandi vantaggi per le une e svantaggi per le altre.

Ma torniamo alle cause della Grande guerra: se sono valide le riflessioni che abbiamo fatto ne deriva che anche se Gavrilo Princip non avesse ucciso Francesco Ferdinando (come è noto nell’evento ci fu una notevole dose di casualità…) o anche se la Serbia si fosse consegnata all’Austria-Ungheria, la guerra sarebbe scoppiata ugualmente, magari qualche mese o qualche anno dopo, con altri “inneschi” casuali o preparati!

E, a conferma che la guerra non fu casuale nelle sue origini così come nelle sue alleanze strategiche, possiamo ricordare che l’elaborazione del Piano Schlieffen che venne utilizzato nell’agosto 1914 per l’attacco della Germania alla Francia era iniziata nel 1891(!), mentre il riarmo navale in chiave anti-britannica era partito nel 1896. Non solo: la Seconda guerra mondiale imperialistica riproporrà sostanzialmente le stesse alleanze della Prima, pur con regimi politici e governi profondamente diversi. Come diceva Napoleone la politica estera degli Stati è nella loro geografia…

Un altro contributo interessante per queste nostre riflessioni, lo troviamo nell’Introduzione al libro “Storia illustrata della Grande guerra” (Ed. Laterza), di Emilio Gentile, il quale scrive:

 

“Il 1° agosto 1914 iniziava la Grande guerra. Forse nessuno la voleva, ma nessuno seppe evitarla. Non fu inevitabile per fatalità, ma non esplose neppure per caso, anche se il caso ebbe una sua parte. Fu decisa da uomini che avevano il potere di scegliere tra la pace e la guerra. E scelsero la guerra.

La guerra fu dichiarata dai governanti senza consultare i governati. Tuttavia, in nessuno degli Stati belligeranti gli uomini mobilitati, che andarono al fronte per uccidere o essere uccisi, si ribellarono contro i loro governanti…”

 

Il brano è interessante perché contiene alcune verità, una pesante omissione ed una grave imperecisione. A parte le banalità iniziali che riflettono luoghi comuni che abbiamo già commentato, l’autore sottolinea due verità importanti:

 

1) Fu decisa da uomini che avevano il potere di scegliere tra la pace e la guerra e scelsero la guerra (quindi non è vero che nessuno la voleva come afferma nella riga precedente sia pure con un prudente “forse”…). L’omissione è rappresentata dal fatto che non si chiarisce che uomini fossero quelli che hanno deciso ed a quale classe sociale appartenessero: l’uomo della strada ? L’operaio ? L’impiegato ? Il contadino? Il bottegaio? Non si chiarisce che quegli uomini che scelsero la guerra erano i capi economici, politici e militari della borghesia e dell’aristocrazia, i quali decidono sulla base dei loro interessi di classe di mandare al massacro milioni di operai e contadini. E’ dunque sulle spalle della borghesia, dei suoi partiti, dei suoi giornali e dei suoi intellettuali che grava la responsabilità storica per i milioni di morti della Grande guerra e per le drammatiche conseguenze che essa provocò (compreso il fascismo ed il nazismo!). Si tratta di una verità banale ma sempre trascurata dagli storici…con rarissime eccezioni!

 

2) Fu dichiarata dai governanti senza consultare i governati. E questa è certamente una verità indiscutibile. Si tratta senza dubbio di un fulgido esempio di che cos’è davvero la democrazia borghese: non a caso nessuna guerra è mai stata sottoposta ad alcuna ratifica popolare e nessuna Costituzione prevede la possibilità di fare referendum sulla politica estera degli Stati e tanto meno sulla decisione di entrare in guerra.

 

L’imprecisione grave è infine quella secondo cui gli uomini mobilitati non si ribellarono.

Siccome si tratta di una convinzione tanto diffusa quanto errata, abbiamo dedicato una parte significativa del materiale raccolto nell’Agenda alle mille forme di lotta e di resistenza contro la guerra, anche perché si tratta di uno degli aspetti meno studiati e conosciuti, soprattutto in Italia. A partire dalla lotta politica delle minoranze rivoluzionarie (dai bolscevichi in Russia alla Sinistra socialdemocratica in Germania, ai socialisti serbi, alla Sinistra socialista in Italia, ecc.), per passare al gigantesco fenomeno della renitenza alla leva che coinvolse milioni di giovani in tutta Europa, alle fraternizzazioni su tutti i fronti (a partire già dal Natale 1914…), ai veri e propri ammutinamenti di interi reparti o addirittura di intere divisioni che si verificarono in tutta Europa: a partire dal fronte francese, dove nella primavera-estate del 1917 si verificò un vero e proprio “sciopero delle trincee” in seguito al quale, come scrisse l’ex Primo ministro Painlevé, ci fu un giorno nel quale non c’erano più di due divisioni “sicure” tra il fronte e Parigi, per non parlare del fronte russo, prima e dopo la Rivoluzione di febbraio, fino all’Ottobre rosso, senza dimenticare il fronte italiano oppure gli ammutinamenti dei marinai e dei soldati nella Germania sconfitta, ecc.. Non solo: per ribadire l’importanza del fenomeno basterebbe ricordare l’enorme mole di processi e di condanne ad opera dei tribunali militari, di cui parleremo, ma anche la durissima repressione che si espresse direttamente sul campo di battaglia ad opera degli ufficiali e della polizia militare (si tratta di uno degli aspetti che più colpiscono, insieme all’uso massiccio di alcolici nel bel libro “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu…).  Significativo questo brano tratto dal libro di Cesare De Simone “L’Isonzo mormorava. Fanti e generali a Caporetto” (Ed. Mursia):

 

“…Tutte le volte che c'era un attacco arrivavano i carabinieri. Entravano nelle nostre trincee, i loro ufficiali li facevano mettere in fila dietro di noi e noi sapevamo che, quando sarebbe stata l'ora, avrebbero sparato addosso a chiunque si fosse attardato nei camminamenti invece di andare all'assalto. Questo succedeva spesso. C'erano dei soldati, ce n'erano sempre, che avevano paura di uscire fuori dalla trincea quando le mitragliatrici austriache sparavano all'impazzata contro di noi. Allora i carabinieri li prendevano e li fucilavano. A volta era l'ufficiale che li ammazzava a rivoltellate…”.

                                        

Un quadro confermato da Lorenzo del Boca nel libro “Grande guerra, piccoli generali”, dove insieme al racconto di una infinità di episodi di repressione contro i soldati, leggiamo giudizi durissimi sui comandanti italiani, a partire dal comandante in capo il generale Luigi Cadorna:

 

“…Si armarono di ordini assurdi. Pretesero di mandare le truppe all’assalto anche quando ogni logica l’avrebbe sconsigliato. Insistettero nello sfidare le leggi della fisica per fortificare posizioni insostenibili. Per ottenere un’obbedienza supina, fucilarono quelli che apparvero più riottosi o anche solo meno pronti a sacrificarsi. Instaurarono un regime di oppressione che sarebbe risultato odioso per una qualunque dittatura, pur spietata. E provocarono la morte di un numero imprecisato di loro uomini, piazzando le mitragliatrici dei carabinieri dietro le file destinate all’assalto con la disposizione di aprire il fuoco alla schiena dei soldati, se avessero appena ritardato a lanciarsi fuori dalle trincee.

Le corti marziali lavorarono a pieno ritmo e i magistrati, seduti sulle stufe arroventate dal fuoco per paura di prendersi un raffreddore, spedirono davanti al plotone d’esecuzione una quantità di poveracci analfabeti che il fango delle trincee aveva mutilato…”

 

L’imprecisione di Emilio Gentile è davvero troppo grossa: milioni di soldati si opposero alla guerra e alla forza colossale della massima organizzazione statale e militare che si fosse mai vista fino ad allora, e lo fecero in tutti i modi: renitenza, diserzioni, fraternizzazioni, ammutinamenti, insubordinazioni, resa al nemico, fino ad arrivare all’automutilazione ed al suicidio…

Gli Stati e le gerarchie militari dovettero ricorrere a tutte le armi per avere ragione della opposizione dei soldati: un’arma decisiva, poco considerata e poco studiata, fu l’alcool che si rivelò indispensabile per annebbiare la coscienza dei soldati al fine di poterli buttare fuori dalle trincee e mandarli incontro alle mitragliatrici e al filo spinato: non a caso l’approssimarsi degli attacchi veniva annunciato, su tutti i fronti, dall’arrivo di dosi massicce di alcolici per soldati e ufficiali…

L’opposizione dei soldati e di molti ufficiali, quasi sempre istintiva ma spesso cosciente ed eroica, venne stroncata dall’apparato repressivo dell’esercito e dello Stato: ma ci fu un caso in cui l’opposizione alla guerra vinse e portò alla pace immediata, senza annessioni e senza condizioni. Fu l’unico caso nella storia di una battaglia politica che produsse come risultato la fine di una guerra, e addirittura di una guerra imperialistica (e non fu una battaglia dei pacifisti…). Si tratta naturalmente dell’Ottobre rosso, il cui primo risultato fu la dichiarazione di pace! Così leggiamo nel Decreto sulla pace, il primo decreto approvato dal II Congresso dei Soviet:

 

“Il governo operaio e contadino, creato dalla rivoluzione il 24-25 ottobre e forte dell’appoggio dei soviet dei deputati operai, soldati e contadini, proclama a tutti i popoli belligeranti e ai loro governi l’immediato inizio di trattative per una pace giusta e democratica…

Il governo ritiene che continuare questa guerra per decidere come le nazioni potenti e ricche debbano spartirsi le nazioni deboli da esse conquistate, sia il più grande delitto contro l’umanità e proclama solennemente la sua decisione di firmare immediatamente le condizioni di una pace che metta fine a questa guerra conformemente alle condizioni sopraindicate, parimenti giuste per tutti i popoli senza eccezione…”.  

 

In conclusione vogliamo ricordare che in questa Agenda, per evidenti ragioni di spazio, ci occuperemo prevalentemente della fase che preparò le condizioni della guerra e delle vicende relative al primo anno di guerra: di conseguenza, per esempio, dell’ingresso in guerra dell’Italia così come di molte altre questioni appena accennate tratteremo nell’Agenda 2015-2016. Inoltre, come è nostra abitudine, abbiamo fatto ampio ricorso a citazioni significative ed abbiamo fornito una bibliografia ed una filmografia essenziali, strumenti utili a tutti coloro che desiderassero approfondire gli argomenti trattati (da parte nostra c’è la massima disponibilità…).

 

Ricordiamo infine che nei primi mesi del nuovo anno scolastico, abbiamo programmato una serie di iniziative utili a proporre motivi di riflessione su aspetti importanti e poco noti della Grande guerra, in collaborazione con numerose associazioni, tra cui il Museo di Storia Naturale, l’Unione Femminile Nazionale ed il progetto “Milanosifastoria” primo Festival della Storia patrocinato dal Comune di Milano e promosso da IRIS (Insegnamento e Ricerca Interdisciplinare di Storia…).

Queste iniziative sulla Grande guerra saranno sviluppate in collaborazione con le Associazioni:

“Centro Studi Storico Militari sulla Grande Guerra Piero Pieri” e “WW1 – dentro la Grande Guerra” con le loro piattaforme Web:

www.grandeguerra100.it e www.archiviomemoriagrandeguerra.it.

L’invito che rivolgiamo ai colleghi è naturalmente quello di darci una mano per migliorare la qualità e la quantità del nostro lavoro moltiplicando le occasioni di riflessione su di un evento cruciale che ha segnato in modo decisivo la storia del XX secolo e che, a dispetto di ciò che molti pensano, è poco conosciuto anche nei suoi aspetti essenziali.

 

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